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Che cos’è il Coming Out Day e perché è così importante

Che cos’è il Coming Out Day e perché è così importante

Cultura Queer

11 Ottobre 2024

Di: Sharon Santarelli

Oggi, venerdì 11 ottobre si celebra, in tutto il Mondo, il Coming Out Day; la giornata internazionale con cui la comunità LGBTQIA+ richiama l’attenzione sull’importanza per ogni persona di poter essere liberamente sé stessa.

Il primo Coming Out Day è stato celebrato negli Stati Uniti l’11 ottobre 1988, esattamente il giorno dell’anniversario della seconda marcia su Washington per i diritti delle persone omosessuali. L’idea prese campo grazie a Robert Eichberg, psicologo del New Mexico, e Jean O’Leary, politica ed attivista LGBT di Los Angeles, durante il laboratorio The Experience and National Gay Rights Advocates.
Ma cosa significa “coming out”? O meglio, fare “coming out?

Jean O’Leary, attivista statunitense, nel 1972 fondò il Lesbian Feminist Liberation, a difesa delle donne omosessuali, e nel 1988 fu tra gli ispiratori del National Coming Out Day. “Uscire allo scoperto per liberare il mondo dalle paure e dagli stereotipi” fu la missione di O’Leary, contro l’omofobia. Contro i preconcetti che costringono la comunità LGBTQ+ al silenzio.
Nonostante sia stata derubricata dall’elenco delle psicopatologie dall’OMS nel 1990, ancora oggi sono 64 i Paesi nel mondo dove l’omosessualità è illegale e viene punita con la reclusione, laddove non con la pena di morte.
La paura di far conoscere agli altri il proprio orientamento sessuale, ancora oggi, costringe molte persone a vivere una doppia vita, paure e grandi insicurezze, che possono portare all’insorgenza di patologie, come i disturbi alimentari, che in effetti colpiscono maggiormente chi fa parte della comunità Lgbtq.
Wikipedia recita testualmente: “Coming out è un’espressione inglese usata per indicare la decisione di dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. Questa espressione deriva dalla frase inglese coming out of the closet (“uscire dal ripostiglio” o “uscire dall’armadio”), cioè “uscire allo scoperto”.

Molti i personaggi famosi, nel tempo, hanno fatto coming out, dichiarando il loro orientamento sessuale, con l’idea e lo spirito di essere fungere non solo da apripista, ma da esempio.

Nelle pagine di Rolling Stone, nel 1976 Sir Elton John, dichiarò la sua omosessualità; fu seguito poi da Ellen de Generes che nel 1997 fece coming out sulla prestigiosa copertina di Time.

Nel nostro immaginario, quando si pensa all’esatto momento del coming out, ci immaginiamo la scena di qualcuno che va dai propri genitori, da un amico, da qualsiasi altra persona e e rivela il suo orientamento sessuale, che, siamo onesti, equivale anche a rivelare se stesso, il suo essere, la sua identità.
Fare “coming out” equivale a dichiarare, se ci pensate bene, qualcosa di sé. Posso dichiarare il mio orientamento sessuale, ma posso dichiarare anche scelte di vita che, nell’immaginario collettivo, posso andare contro corrente o, semplicemente non essere scontate.

Se ci ragionate, il concetto di coming out, ad oggi, non riguarda più solo la comunità LGBTQ+. Se ci pensate, infatti, “rivelarsi” non riguarda solo l’orientamento sessuale; vale anche per molti altri contesti. Riguarda le relazioni in generale e le proprie scelte di vita rispetto a ciò che gli altri considerano usuale e, ad oggi, sotto molti lati, usuale è considerato inclusivo.

Fare coming out è, prendendo atto della propria libertà, esprimere semplicemente se stessi, prendendo in mano la propria vita e perseguendo, a testa alta e con orgoglio, le proprie scelte.
Un pò come quando capisci, dopo la laurea, che il lavoro che vuoi fare non è quello per cui hai studiato per 5/6 anni. Pensate ad Annalisa che dopo una laurea in Fisica ha scelto di fare la cantante.

Nel pensare alla libertà ed al rispetto degli altri, continuo a non comprendere, infatti, come si possa giudicare in maniera non inclusiva persone per il loro sesso (vedi le continue problematiche legate al sistema patriarcale in cui viviamo), il loro orientamento sessuale o la razza a cui appartengono. Siamo tutto persone, diverse, che devono essere libere, ogni giorno, di esprimere loro stesse in toto.
Il coming out, infatti, proprio per il suo essere necessariamente inclusivo, non è infatti solo un momento ed un fenomeno della comunità LGBTQ+ perché ognuno di noi, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, ogni giorno fa un coming out.

Bisogna, necessariamente, essere obiettivi e sostenere coloro che, è indubbio che la comunità LGBTQ+ sia sicuramente svantaggiata. Basti pensare al fenomeno dell’outing, all’antipodo ed all’opposto del coming out.

L’outing è, infatti, una rivelazione che un altra persona fa di altri senza il consenso del diritto interessato. Un vero e proprio atto di violenza, fatto contro la volontà ed il permesso del soggetto in questione. Un atto di violenza vero e proprio che, spesso, le persone della comunità LGBTQ+ sono costrette a subire.
Un errore, a mio avviso, molto diffuso ma che non può necessariamente essere incorreggibile!
Fare dichiarazioni sull’identità di genere o l’orientamento sessuale di terze persone equivale ad una forma di violenza. Fare coming out è un atto libero, che il soggetto interessato decide, di sua spontanea volontà, di fare. E’ espressione della libertà individuale di colui che, decide, di rivelare agli altri qualcosa di sé stesso.

Fare coming out è un atto di coraggio, ogni giorno.
E’ mettersi in discussione, ritrovandosi, rompendo spesso gli schemi tradizionali di una società in cui noi viviamo, è fregarsene del giudizio degli altri. E’ essere sé stessi, liberi da stereotipi o giudizi. E da queste persone, coraggiose e libere dovremmo prendere esempio ogni giorno.