I tagli di Trump su salute e ricerca scientifica usati per pagare le promesse elettorali
La strategia isolazionista dei dazi si ritorcerà contro l’economia americana e il presidente punta a fare cassa sulle terapie mediche e a cercare nemici ideologici

I tagli agli aiuti esteri del nuovo governo americano minacciano di bloccare la distribuzione del Lenacapavir, un farmaco di nuova generazione, in grado di prevenire la trasmissione del virus da HIV. Penso sia del tutto inutile dilungarsi sui gravissimi danni sanitari che una politica del genere è destinata a provocare a livello mondiale. La questione è che molte delle scelte sostenute dalle ideologie cosiddette Maga hanno ragioni molto più concrete. Trump non ha i soldi per mantenere le promesse avanzate al suo elettorato, prime fra tutte quelle che individuano nei pesanti tagli fiscali a favore della classe media la soluzione alla gravissima inflazione che attanaglia l’America. Non dobbiamo dimenticare che le false promesse sono tra le ragioni fondanti del consenso elettorale a tutte le latitudini e in tutti i tempi, ma da qualche anno la pratica è aggravata dal sostegno offerto in tutto il mondo all’elezione di sovranisti, fascistoidi e autarchici dalle massicce campagne di disinformazione social. Ed è infatti l’alleanza tra le immense ricchezze di dollari e di dati delle grandi aziende tecnologiche americane e l’amministrazione Trump il dato tanto inedito quanto preoccupante e imprevedibile nelle conseguenze future; dato incarnato dal folle consenso di Musk e dal rassegnato allineamento dei profeti ex libertari della Silicon Valley.
Trump ha sete di denaro e ha anche tanta fretta
per la realizzazione di una sorta di rivoluzione economica, commerciale, militare e morale, prospettata da lui e dal suo mentore, gli anni che li separano dalle elezioni di midterm sono un nulla. Questo, ovviamente, non significa che nel frattempo non sarà capace di provocare danni riparabili, forse, in decenni, alla fine del suo disastroso mandato.
Ebbene, la fame di denaro per uno Stato può essere soddisfatta principalmente in due modi: taglio della spesa e maggiori incassi. Quanto a quest’ultimo punto, sono tanti gli analisti di livello internazionale che hanno rilevato come la politica dei dazi portata avanti da Trump si ritorcerà contro gli americani. Gli introiti che ne dovessero derivare non coprirebbero la deriva inflazionistica, la alimenterebbero. Il tentativo di colmare coi dazi l’enorme disavanzo sulla bilancia commerciale tra Stati Uniti e Europa, colpirebbe quest’ultima per percentuali significative, ma non inarginabili con contromisure, a condizione che non si cada nel ricatto di investire in maniera esclusiva nella produzione USA (di auto e di armi), mentre sarebbe un danno inarrestabile per l’America. Ancor di più se si considera che Trump ha aperto un fronte dazi con la Cina, il più grande produttore ed esportatore di merci al mondo, ma anche col Messico e col Canada, paesi vicini, partecipi di una complessa filiera commerciale, che incide sensibilmente sul prezzo finale dei prodotti a marchio americano.
Il paradosso è che ci sarebbe, quasi, da augurarsi che non sia solo uno spauracchio, ma che alle minacce seguano i fatti.
Solo una presa di coscienza del popolo americano
ulteriormente indebolito nel portafoglio, potrebbe rompere l’incanto del pifferaio magico e del suo substrato ideologico. Negli ultimi giorni, la questione si sta, però, rivelando per quello che è, per lo più un bluff, atto ad indurre gli Stati a trattative separate e a piegare le resistenze ad investire in America. Nello stesso senso va l’”invito” a spendere di più per gli armamenti rivolto all’Europa, con la minaccia di lasciarla del tutto indifesa dalle mire del “pacifista” Putin. L’aspirazione è quella di trasformare il costoso ruolo di guida militare e modello politico-morale dell’America in maggior fornitore di beni, da acquistare sotto ricatto.
La democrazia ha costi altissimi e quando è esercitata come hanno fatto gli Stati Uniti negli ultimi quarant’anni, ha costi ancor più alti e spesso effetti tutt’altro che democratici. Il suprematismo bianco di cui parla Trump è principalmente di tipo economico, in un cinico disegno turbocapitalista, che prevede che dalla ricchezza nasca il potere assoluto. L’impero si prepara quindi a cambiare faccia e, in buona parte, anche sostanza. Dove la sostanza è in via di profondo cambiamento è proprio sulla seconda gamba del piano, la politica dei tagli. Per essere digerita da un elettorato sfiduciato e ignorante necessita di un ben maggiore sostegno ideologico. Si pensi sul piano esterno all’uscita degli Stati Uniti dai massimi organismi internazionali, dalla cooperazione, dal multilateralismo, che proprio nel sostegno politico ed economico americano trovavano nel bene e nel male garanzie di stabilità. Si pensi sul piano interno ai tagli al sistema sanitario, al welfare, al sistema amministrativo, alle università e all’informazione che non si adeguano. Quasi ognuna di queste scelte si identifica e giustifica con la guerra ai nemici del capitale e della morale americana. E qui i danni che ne derivano appaiono, se è possibile, ancora più gravi per l’America e per il mondo intero, compresi quelli derivanti dall’ ideologico azzeramento delle politiche di lotta e prevenzione dell’HIV. Intanto, il processo prevede l’identificazione di capri espiatori da dare in pasto ai sostenitori: gli immigrati, i tossicodipendenti, l’Europa, le donne, le persone LGBT+, gli intellettuali, le presunte élite, i poveri, la cultura woke, l’O.N.U. Con l’uscita dall’OMS, se si dovesse riverificare una crisi pandemica come quella da Covid, la situazione sanitaria americana finirebbe fuori controllo, dominata dal ben noto brocardo che vorrebbe che più gente si contagia, più si fanno anticorpi… e morti. E se vogliamo, proprio col contagio da HIV la storiella degli anticorpi non reggerebbe.
Il progetto di Trump è un disegno disgustoso
che al costo di un vergognoso arretramento culturale e democratico, aspira al massimo espansionismo economico, affinché l’America sia “Great again!”. Ma chi ci crede? Non credo che il piano andrà in porto, ma ne temo le conseguenze e gli strascichi. Perciò non credo neanche che l’America non sia più destinata ad esercitare una egemonia culturale nel mondo, in fondo, i quattro anni di dominio trumpiano che ci attendono possono essere molto dannosi, ma sono un tempo brevissimo. Dobbiamo essere pronti a rispondere con una Europa unita, non solo militarmente, ma politicamente, che non abbandoni l’idea di rendersi sempre più autonoma da compagni inaffidabili, ma che non dimentichi chi resta indietro, per un principio di giustizia, ma anche per evitare che il voto e il non voto di protesta si trasformino in consenso per le destre estreme. Un’Europa capace di sostituirsi agli USA anche nel campo della ricerca e prevenzione sanitaria, che cerchi nelle altre grandi democrazie, dal Giappone, all’Australia, dal Canada, al Brasile nuova linfa per la cooperazione a tutti i livelli. Un’Europa che non abbandoni l’idea di uno sviluppo sostenibile e che sia capace di un piano comune per l’immigrazione, che non ceda al ricatto di Trump, ma neanche a quello degli oligarchi della tecnologia, costruendo, per esempio, una rete satellitare del tutto autonoma.
Per la verità non sono neanche sicuro che l’Europa sarà all’altezza del compito, ma di sicuro non ha altra scelta. Al contrario di Trump, infatti, Musk il suo progetto di espansionismo politico internazionale lo ha ben chiaro e sta utilizzando la peggiore delle crisi politiche, sociali, economiche, morali e culturali della più grande potenza mondiale come ascensore per la realizzazione del suo disegno ultracapitalista e ultradistopico. Ma attenzione! Giganti delle dimensioni delle aziende tecnologiche americane più crescono in ricchezza, più divengono fragili; un impegno economico colossale così decisamente orientato politicamente verso una forma di tecno-fascismo, al primo inciampo politico vede a rischio la tenuta finanziaria su cui regge l’intero castello, costituito per lo più da detenzione di ricchezze immateriali. E Dio non voglia che Icaro per arrivare su Marte non si bruci le ali! Siamo di fronte a giocatori d’azzardo che giocano con la salute e la vita di miliardi di persone per mero tornaconto personale. Non dobbiamo neanche per un momento pensare che i valori fondamentali delle nostre costituzioni europee siano superati da un nuovo irresistibile cambio di paradigma.
Per concludere, certo, una risata non li seppellirà, ma come non reputare perfetta la sintesi di un comico italiano che, di fronte alla grottesca immagine del segretario di Stato Rubio che il venerdì delle ceneri si è fatto intervistare con una croce di polvere grigia segnata sulla fronte, ha commentato: “Ma nessuno gli ha detto che la svastica non si disegna così?”.
