La prima Dyke March italiana: lesbiche in piazza per visibilità, diritti e autodeterminazione
Roma, mentre si celebrano i funerali di Papa Francesco, parte la prima Marcia Lesbica Italiana della storia

Il 26 aprile 2025 si svolge a Roma, in Largo Agosta a partire dalle ore 16:00, la prima Marcia Lesbica Italiana. Nonostante i funerali di Papa Francesco e una Roma gremita di gente tra pellegrini, turisti e Forze dell’ordine a presidiare le strade, si terrà un evento senza precedenti, nato dal desiderio di esporsi, dall’ autodeterminazione e lotta contro ogni forma di discriminazione, portando nelle strade di Roma – e non solo – un coro di voci di rivendicazione e di emancipazione di una comunità che si sente abbandonata e che chiede a testa alta maggiore visibilità e più diritti.
La prima Dyke March della storia
La prima Dyke March si tenne nel 1993 a Washington D.C., negli Stati Uniti, e fu organizzata dalle Lesbian Avengers. Per la prima volta, il gruppo scese in piazza per rivendicare visibilità, diritti civili e giustizia per le persone lesbiche, in un contesto segnato da forte oppressione e marginalizzazione. Le attiviste chiedevano un riconoscimento politico e culturale, denunciando l’invisibilità delle lesbiche non solo nella società, ma anche all’interno dello stesso movimento LGBTQ+. Infatti, uno degli slogan più emblematici dell’evento fu: “We’re lesbian, we’re proud, we’re furious!”
Ora a distanza di oltre 30 anni anche in Italia si tiene la prima Dyke March, in occasione della Giornata Internazionale della Visibilità Lesbica. La manifestazione è organizzata da varie associazioni, tra le quali ALFI (Associazione Lesbica Femminista Italiana), un gruppo di attiviste lesbiche italiane in occasione della EuroCentralAsian Lesbian Conference, gruppi LGBTQIAK+ e femministi e altri (il cui elenco completo si rimanda al sito dykemarch.it ).
Nel Manifesto Politico viene espresso l’obiettivo della marcia: “Scendere in piazza come lesbiche, con tutte le nostre differenze, declinazioni, intersezioni. Lesbiche, donne*, donne* bisessuali, donne* queer, persone queer, non binarie, lelle, camionare, persone trans, femme e butch, etc… Per ricordarci ed affermare che le lesbiche sono il granello di sabbia nell’ingranaggio patriarcale. Esistiamo contro l’eteronormatività, contro i ruoli di genere, contro l’idea che una donna* esiste solo se è accompagnata da un uomo cis”. Insomma, un importante rivendicazione che approfondiamo con un’intervista a Chiara Piccoli (Presidente ALFI).
Chiara Piccoli (a sinistra), Antonella Capone (a destra)
L’intervista a Chiara Piccoli (Presidente ALFI)
– Come mai avete scelto il 26 aprile per celebrare la prima marcia lesbica italiana? Non pensate che la morte del Papa e i suoi funerali possano gettare ombra e quindi mettere in secondo piano la vostra prima e importante manifestazione?
Il 26 aprile è la Giornata Internazionale della Visibilità Lesbica e nessuna data è più preziosa di questa, per la prima Dyke March italiana! Siamo pronte ad una copertura mediatica orientata sui funerali del Papa, ma rivendichiamo con forza la laicità del nostro Paese e il diritto di manifestazione, per cui saremo convintamente in piazza.
Il funerale del defunto Papa è stato fissato per il 26 aprile, configurando una situazione logistica imprevista ed eccezionale, proprio nei luoghi che la marcia avrebbe dovuto percorrere. Questo accadimento, insieme alla no fly zone prevista e a tutte le limitazioni del caso, ha richiesto un cambio di location per la Dyke March: la manifestazione è dunque spostata a Largo Agosta, in forma stanziale. Se questo ne cambierà certamente le dinamiche, siamo certe che non ne minerà la potenza rivoluzionaria.
– Quali interventi prevede la manifestazione?
Sono previsti molti interventi, in particolare provenienti dalle diverse anime dell’attivismo lesbico in Italia, che si esprime sia attraverso associazionismo specificamente lesbico, che attraverso la militanza in gruppi LGBTQIAK+ e femministi, la partecipazione in collettive e gruppi informali e anche con l’attivismo individuale.
Non mancheranno performance e arte, si cita a titolo di esempio la partecipazione della Murga.
– Quante persone stimate parteciperanno alla vostra marcia?
Saremo migliaia, compatibilmente con tutte le difficoltà logistiche causate dalla eccezionale situazione vissuta da Roma in questi giorni, a partire dalle oltre 50 associazioni, collettive e soggettività lesbiche, transfemministe, queer e alleate organizzatrici della Dyke March e dalle oltre 700 partecipanti alla IV Conferenza Europea Lesbica (23-26 aprile), promossa da EL*C – EuroCentralAsian Lesbian Community, che ha richiamato attiviste da oltre 40 Paesi.
– Potresti descrivere l’emozione per la prima Dyke March in Italia?
L’emozione è tanta, per la prima volta le lesbiche d’Italia, d’Europa e di tutto il mondo faranno sentire forte la propria voce in una manifestazione orizzontale e collettiva, rivendicando la volontà di vivere in un Paese antifascista, antirazzista e laico, che riconosce e promuove i diritti e l’autodeterminazione, contro ogni forma di oppressione e marginalizzazione. Una presa di parola collettiva e necessaria che possa squarciare il velo dell’invisibilizzazione contro cui costantemente lottiamo, perché – e riprendiamo la campagna della Rome Lesbian Conference 2025 – “Siamo lesbiche e siamo pronte a tutto”.
– Cosa chiedete a “gran voce” durante la manifestazione?
Scendiamo in piazza per rivendicare la nostra identità ma anche per pretendere il rispetto dei nostri diritti umani. Queste rivendicazioni sono della nostra comunità ma riguardano l’intera società. Scendiamo in piazza per: lottare contro la lesbofobia e la violenza di genere, il pieno accesso ai diritti riproduttivi, il pieno accesso al diritto alla salute per tutte*, il rispetto dei diritti delle persone trans* e non binarie, la visibilizzazione delle sessualità non convenzionali e il riconoscimento del sexwork libero e autodeterminato, esigere l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, la fine delle discriminazioni per tutte le lesbiche.
Per saperne di più, invitiamo a consultare il manifesto politico sul sito dykemarch.it.
– Perché una marcia dell’orgoglio lesbo separata dal Pride (LGBTQIA+) che rappresenta comunque la comunità queer nella sua interezza? Non crea così una sorta di “scisma” all’interno della comunità che potrebbe accentuare le differenze e magari critiche anche all’interno della comunità stessa?
Rispondiamo citando ancora un passo del documento politico della marcia: “Le marce lesbiche (“dyke march”) esistono per ricordarci ed affermare che le lesbiche sono il granello di sabbia nell’ingranaggio patriarcale. Esistiamo contro l’eteronormatività, contro i ruoli di genere, contro l’idea che una donna* esiste solo se è accompagnata da un uomo cis. Non eravamo previste, ma siamo emerse lo stesso. È da 30 anni, da quando le Lesbian Avengers organizzarono la prima marcia di ventimila lesbiche a Washington DC, che siamo qui per dire che il patriarcato non riuscirà mai a cancellarci, non potrà dividerci e non sarà la nostra fine. Saremo noi la sua.
Le lesbiche sono e sono state al centro di tutti i movimenti per il cambiamento sociale, ma la nostra partecipazione è stata ignorata, spesso con la nostra complicità, con il nostro consenso. Ad Aprile 2025, quando scenderemo in piazza a Roma per la prima marcia lesbica italiana, lo faremo nel solco aperto dalla manifestazione di Washington del 1993, per riprenderci il potere dei nostri amori, delle nostre visioni, della nostra rabbia, delle nostre intelligenze, della nostra storia e delle nostre radici.”
La Dyke March non accentua le differenze, ma le valorizza, non rappresentando alcuno scisma dai percorsi e dalle manifestazioni “ombrello” come i pride, ma rivendicando istanze specifiche e spazi di visibilità.
– Nel vostro manifesto sono esplicitate le vostre posizioni antifasciste e contro ogni forma di discriminazione e chiedete anche la decriminalizzazione delle sexworkers. In che modo favorireste la decriminalizzazione di questo lavoro e quali sono le misure che chiedete al governo?
Il manifesto non individua delle misure legislative, ma si esprime a favore della decriminalizzazione di chi esercita il lavoro sessuale per libera scelta: gli aspetti della libertà, dell’autodeterminazione e dell’autonomia nelle decisioni che riguardano il proprio corpo e la propria sessualità per tutte* sono centrali in questa riflessione.
– Nel parlare di violenza di genere denunciate la scarsa visibilità della lesbofobia dovuta all’uso generico del termine “omofobia”. Perché questo termine oscurerebbe le cause di riconoscimento di atti di lesbofobia? Come si potrebbe dare maggiore attenzione?
La lesbofobia – come cita anche il manifesto della Dyke March – è violenza di genere che viene esercitata contro l’orientamento, l’identità e/o l’espressione di genere, ma anche una forma specifica di violenza maschile contro le donne* e persone socializzate come donne* quando queste sono percepite come lesbiche. È chiaro quindi che non può rientrare nel concetto di “omofobia” e che questo non sia un termine ombrello, come invece viene considerato. Il primo passo per dare la dovuta attenzione alla lesbofobia è nominarla – cosa non scontata – e nominarla correttamente, ma anche riconoscerne le caratteristiche e le forme spesso non immediatamente visibili e riconoscibili, che serpeggiano quotidianamente nella vita delle lesbiche. Proprio in questi giorni è stato pubblicato il report nazionale sulla lesbofobia in Italia della Rete Medus3, che ne offre uno spaccato dettagliato, e che si può visionare sul sito retemeduse.it.
– Parlando di violenza di genere e in un paese in cui c’è ancora molto patriarcato, quali sono le vostre posizioni verso i movimenti femministi? E cosa rivendicate e chiedete in qualità di comunità lesbica che rappresenta però tutte le donne*?
La misoginia e la violenza del sistema patriarcale sono strutturali e l’Italia ne è intrisa. Abbiamo sempre intrecciato la nostra storia con quella dei movimenti femministi, nessuna parla per tutte le altre, ma insieme siamo una moltitudine di voci inarrestabili. Vogliamo scardinare i meccanismi del sistema patriarcale ed eterocisnormato, svelare i condizionamenti inconsapevoli, contrastare l’attribuzione forzata di ruoli ed espressioni di genere che mirano a stabilire quali donne* sono “conformi” e quali non lo sono, perché sia la parola autodeterminazione a tracciare i nostri percorsi e a rappresentare la nostra meta. Il modo più efficace che abbiamo trovato per farlo è vivere in modo libero, visibile,
consapevole: non scenderemo a compromessi sulle nostre esistenze, non
giustificheremo i nostri desideri, non freneremo i nostri sogni, perché le donne sono moltitudine e complessità, competenza e cura, libertà e resilienza.
