L’ennesimo 25 Novembre
Scrivere il pezzo per il 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne) non è mai semplice. Ogni anno mi siedo davanti ad un foglio bianco di word e penso all’anno passato, al numero di donne uccise, a come la società è mutata in quei 365 giorni. Ogni anno è sempre difficile scegliere le parole con le quali riempire quel foglio bianco.
Gino e Giulia Cecchettin
Quest’anno, aprendo il foglio di word e pensando alle donne (96 ad un anno dall’11 novembre 2023, giorno dell’omicidio di Giulia Cecchettin) non sono però riuscita a non pensare ad una persona: suo padre.
Ho incrociato lo sguardo di Gino Cecchetin la sera del 20 luglio 2024, in posto sperduto al confine tra la Toscana, l’Umbria ed il Lazio. In quella calda sera d’estate, dove cercavo solo un pò di pace per la mia mente tormentata, avrei voluto dirgli così tante cose. Sono rimasta in silenzio, seduta al mio tavolo. Ci siamo scambiati uno sguardo ed un sorriso; uno di quelli un pò “strinti” (come si dice in Toscana). Un sorriso dove non si ride, ma ci si comprende.
In quel momento sono tornate alla mia mente le tante conversazioni fatte che lo riguardavano. Così come quella sera in cui, mesi dopo l’uccisione della figlia, veniva intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa. Gino Cecchettin, seduto davanti a Fazio indossava, appuntato sulla giacca, il fiocco rosso simbolo della lotta alla violenza di genere (come quella sera nella sperduta campagna toscana in cui ci si siamo incrociati). Non aveva accusato Filippo Turetta in quella intervista; non aveva parlato dei dettagli dell’accaduto. Aveva posto l’attenzione sui problemi della società patriarcale in cui viviamo. Quella società per mano della quale sua figlia era stata uccisa.
Un’uomo che aveva subito la perdita della figlia per mano del giovane uomo che diceva di amarla (e che invece ne aveva premeditato l’omicidio) e che nei mesi successivi non aveva mai esternato con i media rabbia nei confronti di quell’uomo.
La dignità di Gino Cecchetin mi ha da sempre colpita. Aveva sempre messo al centro di ogni suo discorso sua figlia Giulia, il femminicidio, la violenza di genere, la necessità di fare qualcosa per far si che questa società cambiasse passo. La necessità, ma soprattutto l’urgenza.
Gino Cecchettin ha cambiato la narrativa, l’ha modificata e, per la prima volta, ha fatto sì che i media venissero utilizzati in maniera corretta, senza strumentalizzare la vittima, senza la solita retorica dell’ “ eppure era un bravo ragazzo”.
Forse non tutti i media ci sono riusciti, ma questo è un’altro discorso.
Dall’11 novembre 2023, giorno in cui Filippo Turetta ha ucciso Giulia Cecchettin, qualcosa è cambiato. La morte di Giulia ha creato indiscutibilmente una diversa percezione nei confronti della violenza di genere.
Dopo quel’11 novembre in tutta Italia, molti uomini e donne sono scesi in strada con una diversa consapevolezza.
Quella violenza che capita agli altri può capitare a chiunque.
La storia è sempre la stessa: il potere che gli uomini rivendicato sui corpi e sulla vita delle donne.
Fondazione Giulia Cecchetin
Ad un anno dalla morte di Giulia Cecchettin, uccisa all’età di 22 anni, la sua famiglia ha deciso di fondare un’organizzazione contro la violenza di genere a lei dedicata. L’obiettivo è quello di “insegnare la bellezza dell’amore”, ha spiegato Gino Cecchettin durante la trasmissione Che tempo che fa in onda sul Nove. Tra gli obiettivi esplicitati nel suo statuto ci sono: la promozione di un cambiamento radicale, affrontando le dimensioni culturali che alimentano la violenza di genere e lo sviluppo di strumenti per identificare le radici culturali dei soprusi. Ma anche supportare le donne vittime di violenza, promuovere la collaborazione tra enti, organizzazioni, istituzioni, aziende e singoli individui che condividono la mission della Fondazione e costruire un futuro più inclusivo.
Ma cosa è davvero cambiato da quel’11 novembre 2023?
Nonostante tutto il rumore fatto, le donne uccise in Italia non sono diminuite.
E’ aumentata però la consapevolezza e la necessità di fare, necessariamente, un lavoro di prevenzione. La mobilitazione ci ha portato nella piazze, ma ci ha portato anche a ragionare.
Il tema della violenza di genere ci tocca tutte, non è ideologico, non è politico.
Cosa porta, però, la consapevolezza?
Dai dati del 1522 (il numero anti violenza e stalking) possiamo affermare che il primo trimestre del 2024 c’è stato un aumento di richieste dell’83.5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno; nel secondo trimestre del 2024, invece, c’è stato un aumento del 57%. Dati del genere devono essere necessariamente interpretati. Un amento di richiesto di aiuto può essere causato un aumento dei reati, ma può essere anche le donne prendano coscienza che quello che stanno vivendo possa portare ad un’evento estremo. Le denunce aumentano perché aumenta la consapevolezza delle donne non solo in quello che stanno vivendo, ma anche la consapevolezza che gli strumenti che le donne hanno possano essere efficaci.
Le istituzioni devono necessariamente affrontare questa problematica. Devono cambiare passo. Riconoscere che la società in cui viviamo è (purtroppo) misogina e sessista. Il primo cambiamento è necessariamente culturale.
L’abbassamento dell’età culturale dei giovani uomini che commettono violenza
Ad oggi la maggior parte dei soggetti che commettono femminicidio ha, al massimo, 34 anni. Un adolescente su quattro, ad oggi, crede che rivelare dettagli intimi della sua relazione (senza il consenso dell’altra parte) non sia violenza.
Questo è un dato preoccupante e fa comprendere ancora di più quanto sia fondamentale prevenire la violenza di genere.
Nelle scuole italiane non vi è l’obbligo dell’educazione sessuale ed affettiva. Dopo l’uccisione di Giulia Cecchetin, il Ministero per l’istruzione ha introdotto progetti facoltativi, ma non obbligatori. Ma se il cambiamento parte dall’educazione questi tipi di progetti devono diventare obbligatori. La prevenzione alla violenza di genere parte anche da questo: educare le future generazioni alla parità di genere ed al rispetto degli altri.
Se da una parte le donne, anche le più giovani, stanno accrescendo la loro consapevolezza sul tema della violenza di genere, al contrario i giovani uomini stanno facendo passi indietro; continuando ad essere lo specchio di una società maschilista, misogina e possessiva che invece le donne stanno cercando, con tanto affanno e tantissima fatica, di mutare.
Il punto cruciale è che le donne non possono, da sole, cambiarla. Sono gli uomini che, insieme alle donne, devono prendere coscienza e fare il grande passo. Devono capire che “NO” significa “NO” e non “SI, ma voglio fare la preziosa”; che se una donna esce con un vestito scollato o con una gonna corta non lo fa per essere guardata, per essere commentata, per essere fischiata. Non lo fa per provare un uomo. Lo fa semplicemente perché le andava di vestirsi così. Lo fa per se stessa; non per gli altri. Non per gli uomini.
E se gli uomini non sono tutti uguali, è necessario che quegli uomini siano parte integrante del cambiamento. Che nella loro consapevolezza di non essere come gli altri siano ogni giorno al fianco delle donne nella lotta contro la violenza di genere. E’ necessario che educhino gli altri maschi, contrastandoli e boicottando ogni forma di violenza nei confronti delle donne, ogni giorno, in ogni ambito (lavorativo, familiare, sociale). E’ necessario che si schierino dalla parte delle donne per essere parte attiva di un cambiamento necessario. Sarà un pò processo lungo, ma non ci si può tirare indietro.
Si deve lottare, ogni giorno, per le donne a cui la vita è stata tolta e per far si che non succeda mai più, a nessun’altra.