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Dalla “fine del mondo” per cambiare la Chiesa: quale rapporto con l’universo LGBTQ+?

Ospitiamo su RadioPride la riflessione di Francesco Lepore. Analisi di un percorso complesso, tra dichiarazioni controverse e gesti rivoluzionari, che ha segnato una svolta storica nel dialogo tra la Chiesa cattolica e le persone LGBTQ+

Dalla “fine del mondo” per cambiare la Chiesa: quale rapporto con l’universo LGBTQ+?

Politica, religione e fede

25 Aprile 2025

Di: Radio Pride

di Francesco Lepore

La notizia della morte di papa Francesco, avvenuta alle 07:35 di lunedì 21 aprile per ictus cerebrale e collasso cardiocircolatorio, continua a tenere banco sui media nazionali ed esteri. E ha inevitabilmente riacceso i riflettori sulla figura di Jorge Mario Bergoglio che, da sacerdote professo della Compagnia di Gesù e provinciale dell’Argentina (1973-1979), sarebbe successivamente diventato vescovo titolare di Auca e ausiliare di Buenos Aires (1992-1997), coadiutore (3 giugno 1997) e quindi arcivescovo (28 febbraio 1998) della medesima sede, cardinale del titolo di San Roberto Bellarmino (21 febbraio 2001), 266° Papa della Chiesa cattolica (13 marzo 2013). Primo gesuita e sudamericano a essere elevato al soglio di Pietro, Francesco è stato più di ogni altro suo predecessore il pontefice che ha suscitato sin da subito sentimenti contrapposti nell’uditorio. Anche in questi giorni si sta assistendo a una polarizzazione valutativa, in cui alla narrazione oleografica di chi sciorina un rosario di lodi e osanna al Francesco eccezionale, evangelico, riformista, profetico si contrappone la demonizzazione di chi, dalle sponde del Tevere a oltreoceano, lo esecra quale eretico, miscredente, sovvertitore dell’ordine morale. Ma una tale bipartizione di giudizio si rivela del tutto fallace, incapace com’è di cogliere la complessità della figura del papa venuto “quasi dalla fine del mondo”.

Basti pensare, ad esempio, ai ripetuti pronunciamenti in materia di aborto ed eutanasia, pienamente in linea con l’insegnamento tradizionale della Chiesa, per capire come Bergoglio fosse tutt’altro che interessato al benestare della pubblica opinione. Gli stessi martellanti richiami al Catechismo ne sono ulteriore riprova. Francesco era piuttosto punto dal continuo assillo di avvicinare le masse a Cristo e disvelare loro la bellezza del messaggio evangelico nell’ottica dell’accoglienza, del dialogo, della fratellanza. Fedeltà dunque piena al deposito della fede ricevuto, ma modalità e toni nuovi nel trasmetterlo. È esemplificativa al riguardo la questione Lgbt+, che Bergoglio ha saputo affrontare in prospettiva antropologica ed ecclesiale, lasciandosi alle spalle le facili quanto problematiche categorie dicotomiche del conservatorismo e del progressismo: consapevole d’avere di fronte non entità astratte ma persone con un determinato orientamento sessuale o identità di genere, ha sempre considerato le stesse come amate da Dio, loro creatore, per quello che sono. Celebri le parole dette nel 2018 all’omosessuale cileno Juan Carlos Cruz: «Che tu sia gay non importa. Dio ti ha fatto così e ti ama così e non mi interessa. Il papa ti ama così. Devi essere felice di ciò che sei».

Rileggendo oggi le parole e i gesti che Francesco in dodici anni e trentanove giorni di pontificato ha riservato alle persone Lgbt+ e alle istanze venienti dai movimenti, a partire dalla prima dichiarazione pubblica del 28 luglio 2013: “Chi sono io per giudicare un gay” (in realtà l’espressione esatta e completa fu “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”), si profilerà forse più volte nella mente lo spettro d’un enigma Bergoglio. Troppe le ambiguità, le prudenze, le contraddizioni. Quest’ultime, in ogni caso, non di rado originate dal vezzo papale di parlare a braccio e colloquialmente: l’aveva dovuto riconoscere lo stesso pontefice a fine gennaio 2023 in una lettera al confratello gesuita James Martin, rettificando quanto detto ad AP sull’omosessualità quale peccato. Contraddizioni che sono da riportare probabilmente anche al grado di cultura e preparazione del duecentosessantaseiesimo successore di Pietro

Ma a veramente contare è il nuovo stile di approccio di Francesco verso il mondo Lgbt+

coi suoi costanti richiami a una Chiesa che, come “ospedale da campo” – per usare le celebri parole bergogliane – accoglie tutte le persone e non vuole lasciarne fuori nessuna. È quanto, per voler fare qualche nome, hanno sottolineato in questi giorni Franco Grillini, fondatore di Arcigay nazionale, Cristina Leo, psicologa e componente del direttivo dell’associazione trans Libellula, e Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli (che, fra l’altro, fu a capo della delegazione del circolo, presente il 21 marzo 2015 all’incontro di Papa Francesco con la popolazione del rione Scampia e diverse categorie sociali), nel corso di interviste o in riflessioni affidate ai social. Certo, resta l’amaro in bocca, volendo fare alcuni esempi, per le martellanti condanne di una teoria del gender, peraltro fantomatica e non meglio spiegata a eccezione di un controverso paragrafo della dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio Dignitas infinita (nrr. 55-59), o l’uscita greve sulla “troppa froceria” nel clero e nei seminari, che resta, in ogni caso, come osservava lo scorso anno Franco Grillini, “una confessione in piena regola” su una realtà fino ad allora negata o almeno minimizzata all’ombra del Cupolone.  Ma compilare sillabi di dichiarazioni bergogliane anti-Lgbt+ o comunque non in linea alle istanze dei movimenti, come si può osservare da giorni sui social da parte di molte attiviste e attivisti italiani (ben altra è la caratura delle valutazioni di personalità estere come la senatrice trans spagnola Carla Antonelli o la deputata trans brasiliana Duda Salabert, che peraltro elogiano Bergoglio nell’ottica complessiva del suo impegno per i diritti umani), è un’operazione non solo miope, che decontestualizza, per giunta, i detti pronunciamenti, ma pregiudiziale, e talora livorosamente pregiudiziale, verso un pontificato, la cui novitas dirompente non si sa leggere con uno sguardo d’insieme.


In foto papa Francesco disegnato da TvBoy a Pompei nel 2018 
e la delegazione di Arcigay Napoli a Scampia nel 2015I

l cambio di rotta di Francesco

Fra l’altro, a voler essere intellettualmente onesti, bisognerebbe riconoscere che Francesco ha invertito totalmente la rotta rispetto ai suoi predecessori su questioni non di poco conto: 1) sostenendo la necessità d’una forma di tutela giuridica per le coppie di persone dello stesso, sì da ravvisarne gli estremi nell’istituto delle unioni civili quale buona soluzione; 2) richiamando la Chiesa tutta a porre fine alle leggi che in sessantasei Paesi (sessantasette de facto con l’Egitto) criminalizzano i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso; 3) permettendo la benedizioni pastorali di persone omosessuali che vivono in coppia. Inoltre, ed è quello che più importa come già osservato prima in merito al modificato stile di approccio, Bergoglio ha aperto una strada che la Chiesa non potrà non percorrere anche nel futuro. Come rilevato da Luciano Tirinnanzi nel puntuale saggio Lasciate che i gay (non) vengano a me (Paesi edizioni, 2023), “basta solo considerare che oggi si parla di questo argomento, mentre fino a pochi anni fa il tema Lgbt+ non era neppure preso in considerazione nell’agenda della Chiesa, tranne che da qualche prete di frontiera. Non era mai accaduto prima che un pontefice accogliesse una persona transessuale a casa propria, e Bergoglio lo ha fatto” (pp. 15-16).
Al riguardo bisogna ricordare che Francesco ha mostrato reiteratamente la sua vicinanza a persone che s’identificano in un genere diverso da quello assegnato alla nascita e che sono perciò vittime di stigma, discriminazioni, violenze maggiori. Nel 2015 aveva incontrato, ad esempio, l’allora quarantottenne transgender spagnolo Diego Neria Lejarraga e la sua fidanzata e successivamente non aveva fatto mancare il suo sostegno al “Condominio sociale protetto per donne trans”, inaugurato il 10 agosto 2020 nella Patagonia argentina su iniziativa della priora carmelitana Mónica Astorga Cremona. Durante la prima fase della pandemia da Covid-19 aveva inoltre aiutato materialmente una ventina di sex worker latino-americane, dimoranti sul litorale romano e seguite dal parroco di Torvaianica don Andrea Conocchia, inviando loro prima denaro, perché potessero pagare bollette, saldare l’affitto di casa o comprare generi di prima necessità, poi vaccini anti-influenzali e tamponi. E in questi ultimi anni, sempre su interessamento del sacerdote romano e di suor Geneviève Janningros, ha costantemente ricevuto, al termine dell’Udienza generale del mercoledì, numerose persone trans. Gesti, questi, che valgono più di mille pronunciamenti negativi o contrari e hanno un impatto comunicativo dalle ricadute inimmaginabili.


Pompei Pride 2018 e l’immagine di Papa Francesco disegnata da Tvboy in corteo