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Scozia, la Corte Suprema frena il riconoscimento legale delle donne trans: prevale la definizione biologica

Accolto il ricorso femminista, la sentenza britannica riapre il dibattito sui diritti delle persone transgender e sull'efficacia della via giudiziaria per l'affermazione dei diritti civili

Scozia, la Corte Suprema frena il riconoscimento legale delle donne trans: prevale la definizione biologica

Diritti civili, Transfobia

17 Aprile 2025

Di: Radio Pride

La Corte Suprema britannica, accogliendo il ricorso del gruppo femminista For Women Scotland, ha stabilito che la legislazione scozzese, volta a riconoscere legalmente come donne le persone transgender in possesso di un “Gender Recognition Certificate” (GRC), è incompatibile con la legge sulla parità del Regno Unito.

La decisione della Corte, che scuote profondamente il panorama dei diritti delle persone transgender nel Regno Unito e in Europa, implica che, ai fini della legge sulla parità, il termine “donna” si riferisce esclusivamente alle persone nate biologicamente di sesso femminile. Di conseguenza, le persone transgender, pur avendo ottenuto il riconoscimento legale del loro genere attraverso il GRC, non avranno il diritto di essere trattate come donne in ambiti coperti dalla legislazione sulla parità e di godere delle tutele specificamente previste per chi è nato biologicamente donna.

Questa sentenza, che si applica a tutto il Regno Unito, rappresenta una vittoria significativa per For Women Scotland, un gruppo che ha sostenuto con forza come la definizione legale di “donna” debba rimanere ancorata al sesso biologico per garantire la protezione dei diritti delle donne cisgender. La decisione giunge in un contesto di acceso dibattito pubblico sulla definizione di genere e sui diritti delle persone transgender, un dibattito che non accenna a placarsi.

Un monito sul percorso giudiziario per i diritti civili

Il verdetto della Corte Suprema sottolinea in modo inequivocabile come affidarsi unicamente ai tribunali per il riconoscimento dei diritti civili possa rivelarsi impervio e potenzialmente pericoloso. Il “vento politico” può mutare rapidamente e cambiare bruscamente direzione. Le recenti dinamiche lo dimostrano chiaramente. I giudici, pur nella loro autorevolezza, rimangono esseri umani, influenzati dal contesto sociale e dalle interpretazioni legali prevalenti in un dato momento storico.

Diritti fondamentali come il principio di autodeterminazione dell’individuo non possono e non devono essere considerati concessioni elargite dall’alto. Essi rappresentano prerogative intrinseche alla dignità umana e, come tali, necessitano di un riconoscimento pieno e incondizionato. Affidare esclusivamente alle aule di tribunale la battaglia per tali diritti espone a un rischio intrinseco: quello di vederli messi in discussione o addirittura negati da interpretazioni legali contingenti e da un clima politico mutevole.

Urge un ritorno alla politica e al dialogo per un vero cambiamento culturale

È imperativo restituire il primato della lotta per i diritti civili alla politica. Solo attraverso un rinnovato impegno nel confronto e nel dialogo politico, condotto con determinazione e con una forza maggiore, sarà possibile costruire un vero cambiamento culturale, radicato nella consapevolezza e nel rispetto delle diverse identità.

In questo scenario complesso, il movimento LGBTQIA+ si trova di fronte a una sfida cruciale: quella di provare a ricucire antiche e preziose alleanze, in primis con il mondo femminile, femminista e transfemminista, e di tessere nuove collaborazioni con tutte quelle forze politiche e sociali che riconoscono l’importanza fondamentale del rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione individuale. Solo attraverso un fronte unito e una strategia politica incisiva sarà possibile superare le battute d’arresto e continuare a progredire verso una società più giusta e rispettosa di ogni identità.