Claudio Finelli
Sabato 25 e domenica 26 novembre, nell’elegantissima cornice dell’Hotel Palazzo Caracciolo di Napoli, in via Carbonara, torna il fortunato format teatrale Do Not Disturb ideato da Claudio Finelli e Mario Gelardi.
In quest’edizione, il pubblico potrà assistere a ‘Nziria, un testo scritto da Claudio Finelli e Mario Gelardi e diretto da quest’ultimo, che ha come protagonista Mariano Gallo, attore noto al grande pubblico per aver creato e dato vita alla Drag più famosa d’Italia (e non solo), cioè Priscilla.
La performance vede un unico personaggio, Mariano, confrontarsi col suo doppio, Priscilla, muovendosi tra ricordi e nuovi incontri. In scena con il protagonista della vicenda, ci saranno gli attori Nello Provenzano e Francesco Ferrante.
Contattiamo telefonicamente Mariano Gallo per saperne di più su ‘Nziria.
Con ‘Nziria, torni al tuo primo amore, il teatro. Cosa significa per Mariano Gallo – che con Priscilla è già diventato uno degli uomini di spettacolo più noti e apprezzati in Italia e all’estero – confrontarsi periodicamente con il teatro? Quali sono i maestri a cui ti ispiri?
Confrontarmi periodicamente con il teatro per me è come tornare alle origini, alla mia passione più grande, avevo messo un po’ da parte il teatro per il periodo in cui ho vissuto all’estero, in Grecia, dando più spazio a Priscilla, ma da quando sono tornato a vivere in Italia per condurre Drag race in tv, ho desiderato riprendere a fare teatro; io ho iniziato con il teatro a 17 anni e grazie alla gavetta ho imparato a fare e vivere il teatro.
Io dico che il teatro è una vocazione e se hai questa vocazione, non puoi farne a meno, non puoi vivere senza teatro.
Relativamente ai maestri, io ho iniziato con i classici del teatro napoletano, con Scarpetta e con De Filippo e poi mi sono confrontato anche con la drammaturgia più moderna e contemporanea.
Se dovessi presentare il personaggio che interpreti in ‘Nziria, senza spoilerare la trama della pièce, come lo descriveresti? Il fatto che si tratti di un format particolare che ha luogo in stanze d’albergo, a ridosso degli spettatori, ti stimola o ti desta delle preoccupazioni?
Il mio personaggio, il personaggio di Mariano, in questo spettacolo è assolutamente reale: è un personaggio che potrebbe appartenere a qualsiasi epoca. È un personaggio che si allontana dalla sua famiglia perché non accetta le scelte che ha fatto la sua famiglia e perché sa che la sua famiglia non accetterebbe il suo orientamento sessuale e quindi è una storia che non ha tempo. Però è un personaggio che si ribella e che decide di mettere al primo posto la sua affermazione personale e quindi è un personaggio che mi somiglia molto.
Il fatto che sia un format che si svolge in stanze d’albergo, con gli spettatori molto prossimi mi stimola tanto; in realtà, nello spettacolo noi abbattiamo la quarta parete, non esiste separazione tra attori e pubblico, siamo tutti immersi nello stesso ambiente e questo porta ad avere con il pubblico un rapporto quasi carnale, occhi negli occhi, e questo rende tutto più vivo e più reale e la cosa mi piace e mi entusiasma. Anche con un format differente, quello di Dignità autonome di prostituzione, ho sperimentato il contatto diretto con il pubblico ed è una cosa che ha cambiato il mio modo di vivere il teatro perché vivere lo spettacolo con il pubblico, ha cambiato la mia prospettiva e il mio rapporto con il pubblico stesso.
Passando adesso dalla drammaturgia contemporanea a quella classica, c’è qualche personaggio o qualche autore della storia del teatro italiano o internazionale con cui ti piacerebbe misurarti?
Oggi mi piacerebbe portare in scena Le cinque rose di Jennifer di Ruccello e poi mi ha sempre affascinato La voce umana di Cocteau.
Uno degli aspetti più interessanti legati al tuo personaggio drag di Priscilla è quello marcatamente rivendicativo. Grazie a Priscilla e alla sua notorietà mediatica hai intelligentemente veicolato messaggi di contrasto e lotta all’omotransfobia, spiegando in maniera chiara e comprensibile a tutte e tutti quali sono i pregiudizi e gli stereotipi da abbattere e superare. Sei convinto, dunque, che l’arte, anche nelle sue declinazioni più popolari, debba avere un ruolo civile? Ti è mai capitato di rifiutare una parte, un’ospitata o un progetto artistico perché non in linea con i valori e i principi che porti avanti con determinazione? Quale responsabilità riconosci agli artisti nella costruzione di un mondo migliore, più giusto e più inclusivo?
Io sono dell’idea che un artista dovrebbe fare la rivoluzione, fare arte significa fare politica. In questo momento storico questo tipo di rivoluzione, attraverso l’arte, è ancora più incisiva; una rivoluzione fatta con gentilezza, con arte e con determinazione. Credo che chiunque faccia arte abbia una grande responsabilità civile, ovvero utilizzare la propria arte e la propria notorietà per veicolare messaggi e sensibilizzare. Se si ha l’opportunità di stare su un palco e di avere un microfono in mano, si deve sfruttare quest’opportunità non solo per esibirsi ma per anche per fare attivismo
Mi è capitato di rifiutare ospitate televisive in programmi che non rispecchiavano il mio modo di fare giusta comunicazione, programmi in cui diventa tutto scontro e insulto reciproco, senza dialogo e confronto, e mi è capitato anche di rifiutare di partecipare ad eventi promossi e sostenuti da partiti politici che non rispecchiano il mio punto di vista.
Gli artisti hanno una responsabilità molto grande, fondamentale, nella costruzione di un mondo migliore e più inclusivo perché hanno la possibilità di veicolare messaggi importanti a un pubblico molto vasto attraverso l’arte, lo ripeto: tutti gli artisti potrebbero davvero fare la rivoluzione.
Dovremmo esporci tutti per il riconoscimento di pari diritti, non solo della comunità Lgbtqia+, ma per tutte e tutti, partendo dal presupposto che non bisogna essere gay per combattere l’omolesbotransfobia, non bisogna essere donne per combattere la misoginia, non bisogna essere diversamente abili per combattere l’abilismo e non bisogna essere persone di colore per combattere il razzismo; dovremmo smetterla di chiuderci nel nostro recinto e dovremmo iniziare a preoccuparci di tutti quelli che, pur non appartenendo alla nostra comunità, subiscono discriminazioni come le subiamo noi.