Claudio Finelli
In programmazione nelle sale italiane dal 29 febbraio, Estranei di Andrew Haig con Andrew Scott e Paul Mescal, liberamente ispirato al romanzo Strangers di Taichi Yamada, è senza dubbio uno dei film a tematica Lgbtq+ più interessanti e commoventi degli ultimi anni grazie all’eccezionale bravura del cast, alla temperatura intima e struggente della trama e alla delicata ed efficace regia di Andrew Haig, da sempre attento e sensibile alle tematiche queer.
Haig, infatti, senza cadere in facili stereotipi, racconta con naturalezza e autenticità una storia “sovrannaturale” d’amore e di solitudine, i cui protagonisti, pur vivendo in dimensioni parallele, entrano inspiegabilmente in contatto al di là delle stesse verificabili contingenze esistenziali, concedendosi il tempo e l’opportunità di crescere ed evolversi, fare pace con il passato, rimodellare le relazioni affettive e perdonarsi reciprocamente.
Un film che è un’immersione energica e, a tratti, dolorosissima, in un immaginario peculiare della comunità Lgbt, un immaginario comune a molti, non più giovanissimi e dunque testimoni di epoche meno friendly, attraversato da sensi di colpa, paura, isolamento e continua frustrazione: i protagonisti della pellicola, d’altronde, ci restituiscono la tensione di un’esistenza vissuta ai margini, laddove il margine è al contempo il territorio dell’esclusione ma anche quello della protezione, del rifugio e di una visione “altra”, laterale e più ampia, sull’umanità.
Estranei sembra suggerirci, con un linguaggio poetico, visionario, malinconico e mai ambiguo, che non è mai troppo tardi per chiudere i conti col passato, per scardinare il senso di estraneità che vela il nostro sguardo sui sentimenti e sulla vita, per godere appieno del potere dell’amore (nella suggestiva colonna sonora compare la “mitica” The power of love dei FGTH), per affrancarci dai nostri fantasmi interiori, quelli che abitano dentro di noi, che si addensano nelle nostre recondite zone d’ombra e che fanno molta più paura dei fantasmi veri, quelli che talora ci sembra di scorgere, ad esempio, in una vecchia casa abbandonata o in un condominio praticamente disabitato nell’anonima periferia di una grande metropoli.
Il film, che avrebbe meritato una candidatura all’Oscar, ha comunque vinto sette premi ai British Independent Film Awards, tra cui miglior film, regia e attore non protagonista per Paul Mescal e ha ottenuto 6 candidature ai Bafta e una nomination ai Golden Globe (per Andrew Scott nella categoria miglior attore in un film drammatico).