Claudio Finelli
Martedì 7 novembre, alle 21, debutta al Ridotto del Teatro Mercadante di Napoli Il Frigo di Copi, nuova produzione del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, con Massimo Verdastro e la regia dello stesso Verdastro e Giuseppe Sangiorgi.
Il Frigo è una delle opere più note di Raul Damonte Botana, in arte COPI, geniale drammaturgo, disegnatore, scrittore e attore franco-argentino scomparso nel 1987, che Massimo Verdastro – come racconta nelle note allo spettacolo – ebbe la fortuna di vedere in scena a Palermo nel 1980 nel ruolo di Madame nell’allestimento di Mario Missiroli de “Le serve” di Jean Genet.
Il frigo è un atto unico nel quale un solo attore interpreta sei personaggi diversi, e che si può considerare un classico della drammaturgia del Novecento.
I sei personaggi in scena – interpretati dal funambolico genio artistico di Verdastro – rappresentano le ossessioni e gli incubi del protagonista, costretto-inchiodato nella propria stanza ove è presente un unico oggetto, un frigorifero, sorta di totem attorno al quale il protagonista pratica una danza feroce, macabra e kitsch, che genera un paradossale circo tragico.
Per saperne di più su questa pièce di Copi, fumettista e drammaturgo irriverente, che amava esibirsi nell’interpretazione di personaggi deliranti e transgender, capace di rivelare le nostre fragilità e i nostri abissi interiori, contattiamo telefonicamente Massimo Verdastro, indiscusso Maestro del teatro italiano.
Dopo Oscar Wilde, Sandro Penna, Nino Gennaro, Petronio Arbitro, Carlo Emilio Gadda, Massimo Verdastro affronta un’opera di Copi. Qual è il fil rouge che unisce questi autori? Come è avvenuto il suo incontro con quest’opera e con Copi? Quale è la maggiore difficoltà incontrata nel dare voce e gesto ai personaggi di Copi?
Il fil rouge è la lingua che è poesia, invenzione, ritmo. La lingua che necessita di un corpo e di una voce per poter essere espressa nella sua pienezza. Copi è un autore che ho sempre amato. Non solo il drammaturgo ma anche il disegnatore di fumetti. Vidi una messinscena del Frigo molti anni fa interpretata e diretta da Alfredo Arias che mi colpì molto. Il Frigo è un’opera bellissima e complessa. Credo che appartenga ai grandi classici della drammaturgia del ‘900. Era un mio sogno nel cassetto poterla un giorno interpretare e quest’anno, grazie all’incontro con Roberto Andò, con il quale ho collaborato negli anni passati e, grazie al sostegno del Teatro Nazionale di Napoli, sono riuscito finalmente a portarla in scena.
Nel Frigo c’è un attore che deve interpretare sei personaggi diversi che non sono altro che le sue ossessioni i suoi fantasmi. L. il protagonista è abitato, suo malgrado, da voci, da entità altre che innescano un meccanismo teatrale inquietante, crudele. Non si può non pensare ad Antonin Artaud e al suo “teatro della crudeltà”. Quindi non è certo facile per l’attore riuscire a far convivere in un solo corpo tutte queste presenze.
Copi è stato uno dei primi intellettuali dichiaratamente gay, collaborò peraltro con il periodico gay parigino Gay Pied, e nella sua opera troviamo tratti culturalmente rivendicativi. La sua autobiografia artistica è quella di un artista dalla temperatura fieramente rivendicativa. Cosa può insegnare o comunicare l’opera di Copi alla società contemporanea? In cosa, si sente in sintonia con quest’autore?
L’opera di Copi, così come la sua vita, esprime una grande libertà di pensiero. Gli aspetti dell’opera di Copi con i quali mi sento in sintonia sono la sua capacità di abbattere le convenzioni non solo teatrali ma anche socio culturali. In questo attuale periodo storico, dove vige un clima di restaurazione in cui vengono rimessi in discussione importanti diritti acquisiti anche sul versante lgbtq+, l’aspetto rivendicato dell’opera di Copi è quanto mai necessario.
Nella pièce di Copi, è centrale la presenza di un frigorifero. Cosa simboleggia? Che relazione intrattiene il protagonista con questo “totem” della modernità?
Per Copi il frigorifero che troneggia al centro della scena rappresenta un totem, un simulacro, una presenza inquietante. IL FRIGO è il racconto di un suicidio, per L, il protagonista, diventerà la sua tomba. Nel mio spettacolo invece sarà il luogo in cui il protagonista crederà di potersi rifugiare per sfuggire ad una realtà di vessazioni, angherie e violenze a causa della sua diversità.
Ha scelto di utilizzare la traduzione che, della commedia di Copi, fu realizzata da Luca Coppola e Giancarlo Prati. Possiamo ritenere che la scelta, oltre a rispondere ad esigenze artistiche, è anche una specie di dedica a questa coppia di uomini di teatro? Le andrebbe di ripercorrere, sinteticamente, la drammatica vicenda che riguarda la coppia costituita da Luca Coppola e Giancarlo Prati?
Certamente è anche una dedica a questi due artisti scomparsi tragicamente alla fine degli anni ’80. Sono stati i primi a tradurre le opere teatrali di Copi in una raccolta edita da Ubu libri e voluta da Franco Quadri. Luca Coppola era un giovanissimo e promettente drammaturgo e regista e Giancarlo Prati un bravissimo attore che lavorò molto con Luca Ronconi. Furono uccisi barbaramente in Sicilia su una spiaggia di Mazara del Vallo. Un omicidio che è rimasto un caso irrisolto.
Infine, cosa si aspetta Massimo Verdastro da questa messinscena de Il Frigo di Copi?
Spero che questo lavoro possa essere presentato anche in altre città italiane e quindi possa contribuire alla riscoperta dell’opera di questo straordinario, drammaturgo, ultimamente ingiustamente dimenticato. Questa messinscena è il frutto di un’intesa artistica tra me e Giuseppe Sangiorgi, attore e regista con il quale ho condiviso tante avventure teatrali, che per questa occasione è stato per me una guida impareggiabile.