Salvatore Piro
Una class-action contro il decreto Salvini 2019 e per i diritti LGBTI. E’ l’esclusiva consegnata a noi di RadioPride dall’avv. Vincenzo Miri (presidente di Rete Lenford). “La class-action, attualmente in fase di studio, servirà come pressione giudiziaria per ottenere la dicitura ‘Genitori’, in luogo della discriminatoria ‘Padre e madre’, nella carta d’identità dei figli e delle figlie di due mamme o di due papà”.
Questo il commento rilasciato dall’avvocato Miri immediatamente dopo aver ottenuto un importantissimo successo giudiziario. La Corte di Appello di Roma ha infatti confermato che, nella carta d’identità dei figli e delle figlie di due mamme o di due papà, non può esserci la dicitura “Padre e madre”, ma deve esserci quella di “Genitori”, che rappresenta correttamente tutte le famiglie.
“Si tratta di una conferma, il decreto Salvini va disapplicato perchè incostituzionale” prosegue Miri “purtroppo, trattandosi di mero decreto e non di una legge, lo strumento del giudizio di incostituzionalità è impossibile”.
E’ per questo che il presidente di “Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+”, associazione senza scopo di lucro nata nel 2007 per promuovere la tutela dei diritti fondamentali della comunità di riferimento, sta adesso pensando ad “esperire una class-action che raccolga le legittime rivendicazioni delle coppie di genitori anche omosessuali. Sarebbe importante e utile già raccogliere dieci, venti adesioni” per la nuova azione giudiziaria che l’avvocato Miri è pronto a mettere in atto dopo l’ultima vittoria in Tribunale.
La storia è già di dominio pubblico, non per questo meno interessante. Ripercorriamola con ordine: il 31 gennaio 2019 l’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini, attuale vicepremier, emanava un decreto con cui aveva modificato la dicitura da imprimere sulle carte di identità elettroniche rilasciate a persone minorenni: non più “Genitori” nei campi contenenti i nominativi delle persone che esercitano la responsabilità genitoriale, ma “Padre e madre”, anche nei casi di famiglie composte da due mamme o da due papà.
“L’adozione del decreto, peraltro in aperto contrasto con i pareri resi dal Garante per la protezione dei dati personali e dalla Conferenza Stato-città, ha volutamente attuato una grave discriminazione delle famiglie arcobaleno: migliaia di mamme e di papà, già legalmente tali in forza di legge o di intervenute sentenze di adozione, sono state costrette a vedere il proprio nominativo femminile indicato sotto la dicitura Padre e, viceversa, il proprio nominativo maschile indicato sotto la dicitura Madre” precisa un’ultima nota ufficiale diffusa da Rete Lenford.
Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno, pertanto, hanno impugnato il decreto dinanzi al T.A.R. Lazio, chiedendone l’annullamento. “Con la sentenza del 9 gennaio 2020, il T.A.R. ha negato la propria giurisdizione, rilevando però la serietà dei profili giuridici indicati e affidando a ciascuna coppia di mamme o di papà l’onere di domandare, volta per volta, al Tribunale competente la disapplicazione del decreto, per ogni specifica vicenda giudiziaria, e la condanna del Ministero dell’interno a rilasciare una carta d’identità rispettosa della specifica composizione familiare”.
E così, due coppie di mamme – assistite, una, dall’avv. Mario Di Carlo e dall’avv.ta Susanna Lollini e, l’altra, dall’avv. Vincenzo Miri e dall’avv. Federica Tempori – hanno chiesto al Tribunale di Roma di disapplicare il ‘decreto Salvini’.
Nel 2022 e nel 2023, poi, il Tribunale di Roma ha dato ragione alle coppie e, adesso, la Corte d’appello ha confermato entrambe le decisioni, condannando il Ministero dell’Interno, complessivamente, al pagamento delle spese di lite per quasi 18.000,00 euro.
L’avv. Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford, conclude: “Le sentenze della Corte d’appello di Roma confermano un importante risultato giudiziario, raggiunto dopo uno straordinario lavoro di squadra. Purtroppo, a distanza di cinque anni e nonostante le decisioni della Magistratura allineate anche ai pareri resi da Organi istituzionali, il Governo non ha ancora annullato un decreto palesemente discriminatorio, che continua a offendere la dignità e l’identità di tante famiglie”
In uno dei due casi decisi ora dalla Corte d’appello, il Governo aveva addirittura scelto di impugnare la decisione del Tribunale con 105 giorni di ritardo rispetto al termine fissato dalla legge, pur di impedire, forse, che la pronuncia divenisse definitiva”.
Vista la impossibilità di ricorrere, attraverso i giudici, dinanzi alla Corte Costituzionale, il prossimo passo di “pressione giudiziaria” oltre che politica sarà dunque una clamorosa ed indignata class-action “arcobaleno”.