Claudio Finelli
Il nuovo saggio dello studioso fiorentino, introdotto dalla presentazione di Franco Buffoni, rivela la natura queer del Canzoniere di Umberto Saba.
Pubblicato nell’ultimo mese dalla storica casa editrice Le Lettere, L’Altro Saba. L’omoerotismo nel Canzoniere di Luca Baldoni, apprezzatissimo poeta e studioso da anni impegnato sul fronte del recupero e della valorizzazione della letteratura Lgbt, è un contributo importantissimo per conoscere in maniera più autentica e approfondita la produzione e l’immaginario del grande poeta triestino dacché, per la prima volta, l’indagine critica indugia con dovizia di documentazione e senza ipocrisia sulla natura marcatamente queer del Canzoniere.
Nella presentazione al volume, firmata da Franco Buffoni, intellettuale che ha sempre rivendicato, nella sua produzione letteraria e saggistica, la necessità di emancipare la cultura italiana da censure viete e antiquate, cogliamo l’indiscutibile qualità e la profonda necessità del lavoro di Baldoni: «Specificamente, trattando di Saba, non c’è solo Ernesto: è tutta l’interpretazione – e anche la statura – della sua poesia che, testi alla mano, uscirebbe arricchita di molto, se lo si leggesse con gli occhi del mondo occidentale nel XXI secolo. Che è precisamente ciò che fa Luca Baldoni in questo libro».
Il saggio, che intreccia elementi della biografia sabiana alla sua vasta produzione, focalizzando l’attenzione anche sul materiale, poco conosciuto, del cosiddetto “Canzoniere apocrifo”, non si limita a reperire la presenza diffusa della tematica omosessuale nella poetica dell’autore, ma chiarisce e definisce, con rigore scientifico, la centralità dell’elemento omoerotico quale chiave di comprensione e interpretazione dell’opera dell’autore.
Per saperne di più, raggiungiamo telefonicamente Luca Baldoni.
Il tuo saggio recupera e chiarisce un attraversamento critico, peraltro ricco di riferimenti e informazioni, della poetica di Saba in chiave queer. Perché è importante questo tipo di studio, al di là dell’evidente valore filologico? Per quale ragione, parte della critica preferisce “girarsi dall’altro lato” e ignorare la temperatura queer e omoerotica della poesia sabiana?
La critica e l’accademia italiana preferiscono, come dici tu, “girarsi dall’altra parte”, perché patiscono e riflettono il ritardo culturale complessivo del nostro paese su questi argomenti. La spiegazione è banale, generica, ma è essenzialmente questa. Chiaramente chi si fregia di essere intellettuale, e si occupa di arte e di pensiero, dà per scontato di non essere vittima del pregiudizio “medio”, ma si tratta di un atteggiamento, con pochissime eccezioni, palesemente ipocrita. Il ritardo dell’Italia in materia di diritti civili trova una corrispondenza ahimè perfetta nella scarsità di attenzione, di spazio editoriale, e di finanziamenti accademici, di cui soffre la ricerca queer. Ne discende che qualunque sforzo in questa direzione, al di là delle ricadute immediate nell’ambito di ricerca specifico, acquisisce un valore di militanza per il progresso culturale del nostro paese.
Nel tuo lavoro, fissi anche nomi e profili umani degli “amori” del poeta. Chi furono i “musi” della poesia di Saba? Che ruolo hanno nel corpus del Canzoniere e quanto dolore e pena costò al poeta – secondo te – dissimularne l’esistenza?
Le passioni omoerotiche di Saba risalgono all’adolescenza (si tratta in verità dei suoi primi innamoramenti tout court di cui siamo al corrente). Il primo ragazzo per cui Saba provò un trasporto che andava oltre l’amicizia fu Amedeo Tedeschi, al quale inviò alcuni dei suoi primi versi – tra cui la celebre Glauco – inseriti in lettere profumate di violetta! Poi ci fu Mario Chiesa, che ebbe un ruolo più ramificato sul quale non mi posso diffondere ora. Si trattò in entrambi i casi di passioni non corrisposte per amici eterosessuali, ma è soprattutto importante considerare quali mezzi poetici e intellettuali avesse un giovane poeta ai primi del Novecento per esprimere l’indicibile. Da qui l’uso di un codice culturale normato, quello dell’amicizia idealizzata tra giovani uomini, tramite il quale era possibile almeno avvicinarsi a certe tematiche. La critica si è però troppo spesso nascosta dietro una forma di letteralismo, liquidando certi testi giovanili (ad esempio Lettera ad un amico… dedicata a Chiesa e modulata sulle cadenze di A Silvia di Leopardi) come innocue poesie “sull’amicizia”. Ma è Saba stesso a disingannarci quando, in testi degli anni ’20 che riflettono sull’importanza delle esperienze adolescenziali, porta alla luce ciò che le timide prove di inizio secolo non erano riuscite a esprimere pienamente. Abbiamo così, nel sesto sonetto di Autobiografia, i versi:”Ebbi allora un amico; a lui scrivevo / lunghe lettere come ad una sposa”, oppure, in Un ricordo (inclusa ne La serena disperazione) l’ammissione che “un’amicizia (seppi poi) non era / era quello un amore”.
Questi potenziali “musi” lasciano tracce significative ma labili, anche perché non si trattò di vere e proprie relazioni, ma di vagheggiamenti. Il discorso cambia nella poesia della vecchiaia, negli anni in cui Saba ha una relazione col giovane Federico Almansi, una figura a lungo censurata il cui ruolo fondamentale nella vita e nell’opera del poeta sta emergendo con sempre maggior nitore. A quest’altezza Saba opera con un livello di consapevolezza ben maggiore, oltre ad essersi lasciato alle spalle molti (ma non tutti) dei timori della gioventù. Abbiamo allora, in Ultime cose, l’irruzione di Federico nel mondo di Saba come un essere numinoso grazie al quale si verifica una ripresa dell’ispirazione poetica, con echi dal modello dei Sonetti shakesperiani che Saba amava sin dall’adolescenza. Poi nella raccolta successiva, Mediterranee, assistiamo a una modernissima rilettura queer della tradizione greca al cui interno Almansi si posiziona come personaggio principale in cui convergono le funzioni di amante, figlio e discepolo.
Nel tuo volume parli anche del Canzoniere Apocrifo. Di cosa si tratta? Perché è importante nel recuperare la prospettiva di quello che, a buona ragione, definisci l’Altro Saba?
Entriamo qui in questioni filologico-testuali che cercherò di semplificare al massimo. Noi leggiamo l’opera poetica completa di Saba, Il Canzoniere, in un’edizione che è essenzialmente quella che il poeta approntò nel 1945. In questo progetto che si voleva definitivo, alcune raccolte entrarono con una struttura molto diversa da quella originaria, e molte poesie precedentemente accettate nel canone furono cassate. Nel 1988, con l’apparizione del “Meridiano” Mondadori su Saba curato da Arrigo Stara, gli apparati includono le poesie eliminate e ci permettono di ricostruire la genesi delle singole raccolte. E’ questo che si intende per Canzoniere apocrifo, essenzialmente tutto quello che è stato escluso, o che in origine aveva forma assai diversa. Per l’analisi queer, come potrà apprezzare chi vorrà leggere il libro, questi materiali sono fondamentali, perché le scelte editoriali di Saba hanno spesso mirato a nascondere o depotenziare retrospettivamente l’omoerotismo che aggallava regolarmente nella sua poesia. Senza questo recupero, il profilo queer dell’autore risulterebbe più difficilmente ricostruibile soprattutto per il periodo 1900-1921, che coincide col primo volume del Canzoniere.
Se dovessi indicare ai nostri lettori il componimento che, più di altri, restituisce in versi la rifrazione poetica e umana dell’omosessualità di Saba, quale sceglieresti? Perché?
In Saba è notevole il fatto che l’omoerotismo appare come un universo incredibilmente sfaccettato, con tipi di rapporto anche molto diversi. Non trovo quindi una poesia che possa racchiudere tutto. Ne scelgo una, che ha il tono scabro e rarefatto della sua poesia tarda, in cui vibra tutta l’intensità della passione per Federico Almansi:
Quando un pensiero
Quando un pensiero di te mi accompagna
nel buio, dove a volte dagli orrori
mi rifugio del giorno, per dolcezza
immobile mi tiene come statua.
Poi mi levo, riprendo la mia vita.
Tutto è lontano da me, giovanezza,
gloria; altra cura dagli altri mi strana.
Ma quel pensiero di te, che tu vivi,
mi consola di tutto. Oh tenerezza
immensa, quasi disumana!
Credi che l’Accademia italiana sia pronta, oggi, a fare i conti con l’amore tra uomini allorché il desiderio e il sentimento attingono esperienze ritenute fondanti della nostra storia letteraria?
No, non mi sembra che l’accademia italiana si stia svegliando dal suo ritardo decennale e dal suo provincialismo. Certo il mondo va avanti, rispetto a vent’anni fa c’è qualche pubblicazione in più, qualche corso universitario che non esisteva, ma è un paesaggio puntiforme che non riesce a farsi massa d’urto e a cambiare gli equilibri di potere. E questa sarebbe la cosa più importante.