Claudio Finelli
Alcuni mesi prima che scoppiasse il nuovo conflitto israelo-palestinese, Nicola Campanelli, scrittore e danzatore italiano che vive e lavora a Berlino e che aveva già pubblicato testi a tematica Lgbt+, insieme all’amico Davide Cocchiara, ha scritto e pubblicato per i caratteri della casa editrice Robin un romanzo molto interessante dal titolo Diario di Tel Aviv. Seguendo la scia dell’arcobaleno, vero e proprio giornale di bordo di una vacanza intrapresa dai due amici, legati da un sentimento profondo e sincero, e da Boris, compagno di Davide.
Una vacanza, quella a Tel Aviv, che si rivela fondamentale non solo per confermare il rapporto d’amicizia tra i tre amici viaggiatori, ma per demistificare pregiudizi e luoghi comuni sia sulla vita in Israele, sia su argomenti che, in questo libro-diario, vengono affrontati, anche da prospettive diverse, da Nicola, Davide e Boris, argomenti come l’amore, la vita di coppia, il lavoro, il patriarcato, il bullismo omofobico, la libertà, il sesso e tanto altro.
Per saperne di più su questo romanzo, raggiungiamo telefonicamente Nicola Campanelli.
Nicola, come, quando e perché hai deciso di scrivere, insieme a Davide Cocchiara, Diario di Tel Aviv? Cosa ti aspettavi dal viaggio in Israele? Cosa hai trovato di sorprendente?
Il motivo per cui ho deciso di scrivere il Diario di Tel Aviv insieme al mio amico Davide è che, proprio alla vigilia della nostra partenza per Israele, stavo leggendo Il diario di Sintra di Christopher Isherwood, Stephen Spender e Wystan Hugh Auden, un resoconto dell’esperienza vissuta dai tre scrittori inglesi dal dicembre del 1935 fino al marzo del 1936 in Portogallo. Anche se non è un testo di particolare valore letterario, le pagine di Isherwood e Spender, che andarono a Sintra con i rispettivi compagni – ‘ragazzi di strada’ -, mi sembrava interessante per comprendere difficoltà e dinamiche di quelle relazioni in un tempo in cui la libertà sessuale provata e vissuta da Auden e Isherwood nella Berlino della Repubblica di Weimar stava per essere spazzata via dal nazismo e nel resto dell’Europa l’omosessualità era ancora un reato severamente punito.
Ispirato da questa lettura, pensai che scrivere a quattro mani un diario sul nostro viaggio a Tel Aviv avrebbe potuto essere divertente, non solo per il modo diverso che ognuno ha di guardare e di raccontare le cose, ma anche per cogliere l’occasione per scoprire e descrivere se e come, ottant’anni dopo l’esperienza di Isherwood e Spender, la maniera di vivere l’omosessualità in un paese mediorientale fosse cambiata.
Ad essere sincero, data la mia posizione filo-palestinese, oltre alle iniziali resistenze che avevo dovuto scardinare per convincermi a visitare Israele, ero anche un po’ prevenuto su ciò che avrei trovato una volta giunto a Tel Aviv. Mi aspettavo un clima teso, una città poco sicura e non esattamente ‘aperta’ rispetto a espressioni di libertà soprattutto rispetto alla condizione delle donne e l’identità sessuale delle persone. Certo, mi erano giunte notizie e immagini del famoso pride della capitale, ma pensavo che, come talvolta accade, questi eventi pubblici servano a manipolare l’opinione pubblica, mentre la vita reale delle persone è molto più complicata e difficile.
Sorprendentemente, invece, ho scoperto una città molto accogliente, dove, probabilmente con le stesse delicate dinamiche di potere, dovute a questioni economiche, religiose e sociali che ho trovato in tutte le città del mondo che ho visitato, convivono pacificamente diverse realtà, in cui donne e membri della comunità LGBTQ+, in pericolo in Paesi confinanti, in cui l’islam è la religione di stato, lì è benvenuta.
In questo particolare periodo storico, che difficoltà hai incontrato nel confrontarti con la difficilissima questione israelo-palestinese? Esiste davvero una questione di rainbow washing?
In questi ultimi mesi è molto doloroso ascoltare le notizie provenienti da Gaza e, ancor più difficile, per quanto mi riguarda, parlare con alcuni amici che vivono a Tel Aviv o a Haifa. In molti, pur chiedendo la liberazione degli ostaggi ancora in mano dei terroristi, si dissociano dalla scellerata politica di guerra di Netanyahu. E di certo le loro non sono voci isolate, ma parte di un coro. Non a caso vi sono non poche manifestazioni a Tel Aviv contro il primo ministro e a favore del ‘cessate il fuoco’. Già nel gennaio 2023 si sono succedute proteste di centinaia di migliaia di persone contro il governo di destra di Netanyahu, accusato di minacciare la democrazia del paese. La situazione, poi, è oltremodo delicata e complessa a causa delle nazioni che hanno determinato e che hanno tutto l’interesse ad alimentare questo conflitto. Insomma, se è bene distinguere il terrorismo e Gaza dal resto dei Palestinesi, sarebbe altrettanto importante dissociare il volere di buona parte della popolazione civile di Israele, dalla politica di guerra e di distruzione di Netanyahu e dei suoi sostenitori.
Per quanto riguarda la questione ‘rainbow washing’, ad esser sincero, poco mi interessa se sia un modo per dare al mondo un’immagine ‘liberale’ di Tel Aviv, perché ciò che conta è la libertà che ne deriva e di cui i cittadini godono.
Nel tuo romanzo, analizzi anche la pressione sociale che deve affrontare un adolescente quando scopre di essere omosessuale e dunque non conforme agli standard previsti da una società eteropatriarcale. Anche tu, da adolescente, hai affrontato questo tipo di stress? Sei mai stato vittima di bullismo omofobico?
L’ho vissuto personalmente, ma più che di stress, la pressione che sentivo era un problema che da adolescente, data l’età, mi sembrava insormontabile. Nel mio caso, comunque, potrei dire di essere stato ‘vittima’ della società etero normativa che per molto tempo mi ha fatto sentire ‘sbagliato’, dandomi l’idea di essere una delusione per chi mi amava e di non poter avere una vita come quella degli altri. A far male non erano soltanto le prese in giro di qualche compagno, ma un quotidiano condizionamento che alterava la percezione che avevo di me stesso e del mondo, un condizionamento talmente forte e profondo da spingermi a comportarmi e a prendere decisioni che non mi corrispondevano, ma che, almeno per un attimo, mi facevano sentire un bambino come gli altri. In tal senso è auspicabile che anche in Italia l’educazione, in famiglia e a scuola, l’informazione, la televisione e i libri siano declinati in più forme e non soltanto nell’unico binomio possibile maschio/femmina con il quale tutti noi siamo cresciuti.
Un’altra tematica presente nel romanzo riguarda il modo di vivere le relazioni e la possibilità di scegliere un modello di relazione sessualmente “aperta”, peraltro molto diffusa nella comunità gay. Credi che la monogamia sia diventato un problema per le coppie omosessuali? Esiste una “ricetta” dell’amore eterno?
Sinceramente non so se la monogamia sia un problema per gli omosessuali, ma sono abbastanza convinto che possa costituire un limite per alcune persone, gay o etero che siano.
Ognuno ha un rapporto unico con la sessualità e trovo sano che quando si ha una relazione ci si confronti continuamente con il proprio partner per stabilire se, oltre ad avere una progettualità comune e motivi sempre attuali per stare insieme, ci sia anche reciproca soddisfazione nell’ambito dell’eros. Se guardo il numero di amiche separate, divorziate e tradite dai propri compagni, dovrei concludere che nelle relazioni omosessuali, quando nel rispetto reciproco si decide di ‘aprire’ la coppia, ci sia più maturità e onestà che non in tanti rapporti soltanto apparentemente esclusivi. Non penso che desideri e libertà sessuale debbano essere visti attraverso gli occhiali del giudizio e della morale, credo che ciò che renda esclusiva una relazione sia molto più del sesso in sé stesso.
Oggi vivi a Berlino e, oltre a scrivere romanzi, ti occupi di danza e coreografia. Fino a pochi anni fa, vivevi a Napoli e facevi l’avvocato. Quando è perché hai scelto di fare un cambio così radicale? Lo rifaresti ancora?
La decisione di lasciare Napoli e vivere lontano dalla famiglia e dagli amici più cari è dipesa da molti fattori: un lavoro che mi gratificava economicamente ma che non mi appassionava, il desiderio di vivere una vita più fedele amo stessa, la voglia di dedicare più tempo alla danza e alla scrittura, la curiosità di conoscere altri luoghi, altre lingue, altre culture e la possibilità di ricominciare tutto daccapo, con una maturità diversa, con più sicurezza e con le idee più chiare sugli errori da non ricommettere.
L’elemento scatenante di questo cambiamento tanto radicale è stata la pubblicazione del mio primo libro Confessioni di un ragazzo perbene (Dante&Descartes, Napoli, 2011) pubblicato con lo pseudonimo Andrea A.. Scrivere delle mie insoddisfazioni, dei miei rimpianti e delle consapevolezze acquisite a seguito di scelte sbagliate, fatte a causa dei condizionamenti della società eteropatriarcale di cui parlavamo, mi fece realizzare che dovevo assolutamente fare qualcosa per la mia ‘felicità’, per essere più in sintonia con la mia natura più profonda, per rispettare maggiormente il mio intimo sentire. È così che mi decisi a cambiare non semplicemente città, ma a rivoluzionare completamente la mia vita.
Ovviamente tutte le scelte hanno un prezzo, e sebbene non mi sia mai pentito del cambiamento fatto, ho dovuto rinunciare a vedere quanto vorrei alcune delle persone che più amo, ma per rispondere alla tua domanda, sì, lo rifarei ancora!