Claudio Finelli
Nelle ultime ore, divampa sulla stampa e sui social la polemica sullo show drag che ha avuto luogo all’interno delle celebrazioni inaugurali dei giochi olimpici di Parigi.
La rappresentazione queer, che ha sollevato l’ira dei benpensanti di casa nostra, a destra, ma anche a sinistra, riguarda il fatto che la queerness si sarebbe abbattuta, a loro giudizio, sull’immagine dell’ultima cena di Da Vinci, dileggiandone il contenuto religioso.
Coloro che, al contrario, hanno apprezzato questa controversa rappresentazione, difendono la propria tesi ricordando la laicità dello Stato e la libertà espressiva di chi ha ideato e realizzato la scena “incriminata”, offrendo una versione “aggiornata” e inclusiva della celebre cena.
In realtà, nelle ore successive, un elemento di novità è subentrato nell’acceso e fervido dibattito succitato: la scena queer non avrebbe avuto come modello l’ultima cena di Da Vinci ma l’affresco che ritrae il Convivio degli Dei nell’Olimpo.
Qualcuno, ad esser sinceri, ha suggerito anche che si trattasse della rappresentazione di una scena tratta da Gargantua e Pantagruel, celebre opera satirica del francese Rabelais.
Ma a prescindere da queste congetture, ciò che desta preoccupazione è che a sollevare lo tsunami polemico sia stata un’immagine ritenuta oltraggiosa e offensiva – in quanto queer – della religione cattolica, immagine che si limiterebbe a recuperare l’iconografia di un dipinto di Leonardo attraverso una pratica, quella della reinterpretazione dei modelli di riferimento, che, nei secoli, si è affermata come prassi consuetudinaria.
A proposito dell’opera di Leonardo e delle sue rivisitazioni, conviene ricordare che nel 2019, alla Fondazione Stelline di Milano, fu organizzata una mostra memorabile di opere di artisti contemporanei che reinterpretavano e innovavano L’Ultima Cena, cambiandone e stravolgendone significati e riferimenti: la mostra coinvolse artisti quali Anish Kapoor, Robert Longo, Masbedo, Nicola Samorì, Wang Guangyi e Yue Minjun. D’altronde, la Fondazione Stelline di Milano è il luogo in cui Andy Wharol, nel 1987, aveva realizzato la sua ultima serie di “The Last Supper”. Nessuno si scandalizzò.
L’Ultima Cena di Leonardo ha conosciuto anche interpretazioni più singolari e iconoclaste come quella dei Simpson. Ma evidentemente agli occhi dei bigotti, Homer e Marge non producono la stessa riprovazione di una drag. Agli occhi dei benpensanti, l’immaginario queer è un immaginario “sporco”, “deviato”, offensivo.
Si tratta di pregiudizio, di palese omofobia, ma non lo riconosceranno mai.
Tra l’altro, una rivisitazione memorabile e molto irriverente dell’Ultima Cena è contenuta anche in un piccolo gioiello della cinematografia italiana realizzato nel 1980: Il Pap’Occhio di Renzo Arbore, una pellicola sulfurea, onirica e arguta a cui presero parte attori come Roberto Benigni, Andy Luotto, Isabella Rossellini, Mariangela Melato, Diego Abatantuono, Silvia Annicchiarico, Martin Scorsese, Ruggero Orlando e tanti altri.
In quell’Ultima Cena di Arbore – cercatevela in rete – c’erano anche Neil Hansen, Tito LeDuc e Mauro Bronchi, le indimenticabili Sorelle Bandiera antesignane della queerness, vere e proprie Drag ante litteram, ironiche e sfrontate.
Il Pap’Occhio subì durissimi attacchi alla sua prima uscita nel 1980 e inizialmente fu perfino sequestrato per vilipendio alla religione cattolica e alla persona di S.S. il papa ma non certo per la presenza delle Sorelle Bandiera. Comunque, le accuse decaddero, si stemperarono e nel 2010, quando il film fu distribuito in DVD in versione restaurata, ottenne addirittura la completa riabilitazione ad opera dell’allora portavoce dell’ Opus Dei.
Insomma, poco importa stabilire se chi ha ideato la scena “incriminata” si sia ispirato a un dipinto di Leonardo o a una scena mitologica con le divinità che banchettano, in procinto di sostenere i propri atleti nelle gare sportive poiché in entrambi i casi la religione non c’entra nulla, trattandosi di manufatti artistici creati dalla fantasia umana.
Ciò che importa – purtroppo – è che ci siamo svegliati una bel giorno d’estate, del terzo millennio, e abbiamo scoperto che il tempo passa ma pregiudizi e omofobia incombono sempre e, nonostante le buone intenzioni di qualche artista, gettano un’ombra triste e cupa su questi giochi olimpici.