Almeno una volta nella vita avremo sentito da amici, parenti e/o conoscenti che i Pride sono solo “una carnevalata”, un momento per “radunare gente svestita”, per deviare ragazzi e bambini, o ancora un evento organizzato con l’unica intenzione di avere un tornaconto economico. Con l’avvicinarsi di giugno, l’ormai risaputo Mese dell’Orgoglio, i commenti a sfavore sembrano poi moltiplicarsi, divenire man mano sempre più velenosi e violenti – anche condivisi da persone che rientrano a pieno titolo nella Comunità LGBT+.
Quello che a molte persone sfugge – e che magari ignorano o vogliono ignorare – è la complessa storia dietro a queste manifestazioni: alle lotte avvenute per consentire a chiunque di proseguire l’eterna battaglia per diritti civili e per evitare che si facciano rovinosi passi indietro su queste tematiche; ma ancor di più per la semplice volontà di mostrare a chi non può esprimersi che le cose possono cambiare. Anche se con qualche intoppo.
Tra gli innumerevoli Paesi che figurano assenti – per volontà governative – di uno o più pride, quest’anno rientra a gran sorpresa anche la Corea del Sud.
Il Seoul Queer Culture Festival, meglio conosciuto come il più grande evento organizzato in Corea del Sud a tematica LGBT+, è stato vietato dal governo dopo innumerevoli anni di conquiste e battaglie per i diritti civili. La Città di Seoul ha banalmente giustificato la propria decisione: due richieste sono giunte per occupare il medesimo spazio il 1° Luglio, e gli eventi per bambini e ragazzi hanno sempre la priorità. Peccato che l’evento approvato sia anche organizzato da conservatori e cristiani che sono avversi alla Comunità.
Nonostante il Seoul Queer Culture Festival sia cresciuto esponenzialmente sia per partecipanti che per durata – in un arco di tempo che va dai primi anni 2000 al 2013 – la Città di Seoul ha permesso già nel 2014 la co-partecipazione di un evento opposto, tenuto da conservatori e religiosi contro i diritti civili. L’anno seguente il Festival è stato vietato, tornando poi più o meno regolarmente fino allo scorso anno. L’opposizione a questo evento, che si è svolta di pari passo con appena delle transenne di distanza, è arrivata nel 2022 a circa 15.000 persone.
Un simile avvenimento, per quanto possa sembrare lontano sia fisicamente sia per i differenti diritti già ottenuti, dovrebbe comunque far riflettere sull’importanza di continuare ad organizzare Pride ed eventi correlati alla Comunità LGBT+. Perché se è vero che lo stesso Seoul Queer Culture Festival ha potuto dimostrare il proprio orgoglio per anni, indisturbato e sotto il vigile occhio dell’amministrazione locale, è altrettanto vero che adesso dovranno lottare ancor più duramente per riconquistare anche solo il diritto di esprimersi lì dove hanno sempre potuto farlo.
Samuel Matrone
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